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Il coraggio di lasciare andare
Nel tempo frenetico in cui viviamo, l’audacia si misura nel fare,
in sfide sempre nuove, in passi che ci spingono oltre il confine noto.
Ma c’è un altro tipo di coraggio, più silenzioso, più intimo:
quello di lasciare andare.
Lasciare andare ciò che non ci appartiene più,
gli affetti sbiaditi, le passioni spente,
i sentieri battuti che non portano più meraviglia.
E quando lo facciamo, ecco che ci troviamo davanti alla prova più grande:
stare nel vuoto senza paura.
Il vuoto è terra senza orizzonti, senza sentieri tracciati,
uno spazio nudo in cui ogni forma deve ancora nascere.
E lì, in quella vastità senza appigli, ci siamo solo noi.
A noi il compito di disegnarlo, di dargli un nome, di colorarlo di senso.
A noi il dovere di guardarci negli occhi e imparare ad ascoltarci,
senza più voci esterne a indicarci la via.
Nel vuoto non ci sono scuse, né colpe da distribuire.
Solo noi, con il peso dolce e tremendo della nostra libertà.
E nessuno può davvero comprendere questi istanti,
perché il vuoto è nostro,
e nel momento in cui vi lasciamo entrare qualcuno, diventa altro.
Ma dobbiamo resistere.
Resistere alla tentazione di riempirlo con il primo “qualcosa”,
pur di non sentirne l’eco profondo.
Perché solo chi impara a sostare nel vuoto,
senza compromessi, senza fretta,
scopre la vera forza di essere creatore della propria esistenza.
E allora la vita si fa chiara, essenziale.
Non più riempita, ma vissuta.
Non più imposta, ma scelta.
Gli anni del tutto e subito
Gli anni del “Tutto e Subito”
Tutto e subito.
Dai, ammettiamolo: chi non lo sogna?
E oggi questo sogno è realtà. Sì, proprio così.
Pensateci un attimo: vent’anni fa, se ti veniva voglia di mangiare vietnamita, cosa potevi fare?
Beh, o prendevi un aereo per il Vietnam o… ti arrangiavi.
E oggi?
MAGIA.
Apri un’app. Un’ora dopo, eccolo lì: un Pho fumante, profumato, pronto davanti ai tuoi occhi.
Ma non finisce qui.
“Vorrei un orologio per la cucina. Oro. Senza numeri, solo le lancette.”
MAGIA.
Due giorni dopo: Driiin, il corriere suona. Eccolo lì.
E non riguarda solo le cose materiali.
Anche la socialità è diventata magica:
“Vorrei fare una camminata in montagna, ma non so con chi…”
MAGIA. Gruppi, app, community. Pronto.
“Vorrei viaggiare, ma non ho voglia di organizzare tutto da solo/a…”
MAGIA. Clic, prenota, parti.
“Vorrei uscire stasera, fare due chiacchiere con qualcuno…”
MAGIA. Swipe, match, appuntamento.
Che meraviglia, vero?
Viviamo nell’epoca delle possibilità immediate. E diciamocelo: è fantastico.
Però… mannaggia ai però!
Già. C’è un però.
Perché, anche se viviamo nell’era del “tutto e subito”, non tutto arriva con un clic.
Ci sono desideri, sogni, obiettivi che non puoi ordinare online.
Perdere quei chiletti di troppo?
Imparare a suonare uno strumento?
Cambiare lavoro?
Coltivare una relazione profonda?
Superare una paura?
Ecco, per tutto questo, le magie esterne non esistono.
Ma aspetta.
Non scoraggiarti. Perché la magia più potente di tutte c’è.
Ed è dentro di noi.
Sì, dentro di te.
La vera magia: quella interna.
È quella fatta di motivazione, pazienza, disciplina, audacia e curiosità.
È quella forza che si attiva quando ti sembra di non farcela.
Quando l’obiettivo si allontana.
Quando la tentazione del “subito” non basta più.
Quella magia interna è più potente di qualunque app.
Perché non si scarica, non ha bisogno di aggiornamenti.
È lì, pronta a sostenerti.
E, credimi, quando impari a usarla, ogni piccolo traguardo ha un sapore diverso. Più intenso. Più vero.
Perché, come diceva il caro Leopardi:
“L’attesa del piacere è il piacere stesso.”
E allora, sì: viviamo in un mondo di magie.
Ma la più straordinaria di tutte sei tu.
Come un mobile Ikea
1: Perché questa paura di esplodere?
2: Perché non è carino, perché non voglio turbare gli altri.
1: Ok, sei fottutamente piemontese, chiaro… ma non può essere solo educazione.
2: Perché no? Non mi piace farmi notare.
1: Cazzate.
2: Ok… non mi piace mostrare cosa c’è sotto.
1: Ma il punto è che tu… tu non esplodi nemmeno da sola.
2: Lo so. Perché se esplodo mi rompo. E se mi rompo, chi mi aggiusta? È come un mobile Ikea: lo monti, ma alla fine avanza sempre un pezzo. Se esplodo, magari qualche pezzo non torna al suo posto. E io smetto di essere io.
1: Io ho un sacco di mobili Ikea.
2: Mi dispiace.
1: Il problema non è la mia povertà, ma il fatto che ho sempre avanzato pezzi.
2: Visto?
1: E sai una cosa? Stanno ancora in piedi.
2: Ma sono più precari.
1: Certo. Però resistono. Magari non hanno la forma che dovrebbero, ma ci sono, reggono.
2: E se crollano?
1: Li aggiusto.
2: E se io non avessi nessuno che può aggiustarmi?
1: Non ne hai bisogno. Ti aggiusterai da sola. Forse con fatica, forse lasciando indietro qualche pezzo. Sarai più precaria, sì… ma anche più leggera.
IL PILOTA AUTOMATICO
Azione → Reazione
Causa → Effetto
Stimolo → Risposta
Tutto fila liscio. Come un vecchio film che hai visto cento volte: sai già come andrà a finire.
Succede qualcosa → Zac! Reagisci. Fine della storia.
Ma… davvero non c’è margine? Siamo proprio così prevedibili?
Facciamo un esempio pratico.
Sei al mare. È mezzogiorno. Sole a palla.
Ti alzi dal lettino per andare a fare il bagno e, senza pensarci troppo, zigzaghi come una gazzella da un’ombra all’altra per non incenerirti i piedi sulla sabbia bollente.
Perché lo fai? È ovvio, no?
Ma sei nato con questa mossa ninja... o l’hai sviluppata dopo una bruciatura epica al secondo grado?
Esatto. Hai imparato. A caro prezzo magari, ma hai imparato.
Il tuo cervello ha registrato:
“Sabbia calda = male” → Evitare.
E così ha installato una specie di App di sopravvivenza automatica, attiva 24/7.
Ehi, niente male, eh?
Grazie a lei non prendi caramelle da sconosciuti, non metti le dita nelle prese, non rispondi “sì” alle chiamate dei call center.
Tutta salute.
Ma c’è un problema.
Questa App – chiamiamola Pilota Automatico™ – è un po’ troppo zelante.
Funziona sempre, anche quando non serve. Anche quando potrebbe fare una pausa caffè.
Così ti ritrovi a reagire d’istinto, senza pensarci:
• Sempre arrabbiato nelle stesse situazioni.
• Sempre bloccato di fronte a cose nuove.
• Sempre dentro lo stesso film con lo stesso finale scontato.
E allora? Siamo destinati a vivere come delle reazioni chimiche ambulanti?
No.
La buona notizia è che possiamo spegnere il pilota.
C’è un piccolo spazio, minuscolo ma potentissimo, tra quando ricevi lo stimolo e quando reagisci.
Lì puoi intervenire. Respirare. Fermarti. Pensare.
E poi chiederti:
• “Questa reazione mi piace davvero o è il solito disco rotto?”
• “Mi è ancora utile oggi o appartiene a una vecchia versione di me?”
• “C’è un altro modo di rispondere, magari più furbo, più libero… più mio?”
E se non trovi subito la risposta, tranquillo. Cambia domanda.
Gioca. Esplora. Sperimenta.
Ricorda:
non siamo smartphone da aggiornare ogni tot.
Siamo esseri pensanti. Abbiamo il codice sorgente, possiamo riscriverlo.
Non siamo vittime delle emozioni, siamo gli sceneggiatori.
E se il pilota automatico ogni tanto ci salva… ogni tanto possiamo anche dirgli:
“Grazie, adesso guido io.”
